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La storia del Project Management: dal taylorismo alla complessità della guerra fredda

Le radici del project management moderno sono in realtà piuttosto datate e il concetto del taylorismo è ben noto ai più… ma è proprio da qui che parte la storia.

All’inizio del secolo, si diffonde l’approccio tayloristico orientato a ottimizzare il lavoro e le risorse. Con la sua visione meccanicistica delle persone, Taylor studiava i lavoratori nei minimi particolari: nella loro capacità di fare una certa ottimizzazione del movimento, nei loro tempi di riposo, nella loro stanchezza e così via. Le persone erano viste come ingranaggi delle macchine.
Il Project Management trova qui la sua prima “bozza”, anche se chiamarla così è riduttivo, dato che tante opere civili ed industriali sono state costruite proprio con l’approccio tayloristico.

La fioritura del project management avviene dalla fine degli anni ‘10, quando viene disegnato il primo diagramma di Gantt, fino agli inizi degli anni ‘50 con l’inizio della guerra fredda.
Infatti, il periodo della guerra fredda porta con sé nuovi elementi di complessità e, quindi, nella gestione dei grandi progetti vengono introdotti sistemi in grado di individuare i punti nodali per adattarsi al cambiamento.
Un’ulteriore estensione avviene a partire con la missione Apollo, in cui le caratteristiche del project management si diffondono in ambienti non legati alle attività militari o all’ingegneria.

Fino a qui abbiamo incontrato le logiche classiche e predittive del project management, accompagnate da strumenti già sofisticati che introducono un elemento di complessità, come la Value Chain, Pert e altri.

 

La (ri)scoperta dell’approccio adattivo

Prima del metodo predittivo, diventato predominante con la rivoluzione industriale, le logiche messe in atto per la gestione di grandi progetti erano prevalentemente di tipo adattivo.

Infatti, fin dall’antichità le opere erano realizzate con metodi altamente adattivi, caratterizzati da innovazione strutturale e adattamento. Basti pensare alle opere architettoniche, la cui lunga e complessa realizzazione partiva dal progetto cartaceo per subire modifiche all’evolversi degli stili, delle mutate disponibilità di cassa e dell’avvicendarsi dei committenti.

Negli anni ‘80, inizia a emergere la difficoltà nella gestione di progetti complessi con l’approccio predittivo. Si inizia, così, a introdurre l’approccio adattivo e incrementale, ispirato al Toyota Production System (precedentemente conosciuto come Lean), in ambito industriale ma non solo. In ambito informatico, gli ingegneri introducono le logiche iterative e incrementali insieme alla logica del prodotto, che va dalla visione, all’implementazione fino alla chiusura del prodotto.

 

Il Project Manager tradizionale nel mercato attuale

Forme più fini e collaudate del Project Management tradizionale continuano ad essere usate nelle situazioni in cui è ancora vantaggioso utilizzare una logica predittiva, nonostante sia emersa la consapevolezza che la velocità del mercato ne rappresenta un limite.

La rapidità dei cambiamenti nel mercato rende estremamente probabile che i parametri settati in fase di progettazione del lavoro vengano a mancare. Dimensionare gli aspetti tecnici e pratici del lavoro è sempre più difficile nei progetti sfidanti, per via delle diverse dinamiche commerciali, dell’aumento dei prezzi, della reperibilità delle materie prime, delle esigenze del cliente, giusto per citare alcune delle cause.

Il livello di complessità tende ad alzarsi e il project manager non può più gestire tutto da solo.

 

Il Project Manager può fare tutto da solo?
L’importanza del know-how tecnico

Nel Project Management classico, il ruolo del project manager consiste nel ricevere le informazioni, dimensionare e controllare che il lavoro proceda ed è il (solo) responsabile del corretto andamento del progetto. Spesso il ruolo è estremamente orientato al controllo e alla supervisione. Nelle organizzazioni complesse, il project manager (interno o esterno) è sempre più l’esperto del project management, ma frequentemente non conosce il business di riferimento e non possiede le competenze di dominio.

Aumentando la complessità, emerge l’importanza per le aziende di riappropriarsi del know-how tecnico. Ora, il project manager ha bisogno di essere affiancato da un team di persone con un livello maggiore di consapevolezza dei processi; che possano aiutarlo a capire tecnicamente che cosa è necessario fare. I tecnici, infatti, sono spesso gli unici che conoscono le attività necessarie per portare avanti il progetto e generare valore.

Empowerment delle persone del team

Abbiamo visto che oggi è “impossibile” avere, in un’unica persona, tutte le competenze necessarie per realizzare un determinato progetto. Per questo motivo, è necessario innescare un processo di empowerment delle persone che lavorano al progetto aiutandole, attraverso logiche di Conversational Design, a:

  • Disegnare il prodotto insieme al project manager;
  • Avere un dialogo che facilita il loro nuovo ruolo, capace di dare feedback qualificato;
  • Capire quali sono le esigenze del cliente;
  • Usare le proprie soft skill con gli stakeholder, oltre che all’interno del team di progetto.

Queste soft skill sono utili alle persone anche per:

  • Fare realmente team sviluppando un certo grado di autonomia;
  • Tenersi allineate sull’andamento del progetto;
  • Gestire la relazione con il cliente e gli stakeholder;
  • Aumentare il loro livello di engagement;
  • Adattarsi ai possibili cambiamenti durante il progetto.

 

Il nuovo project manager

Project manager e team

 

Ma quindi cosa fa ora il project manager?
Come cambia il suo ruolo?

Quali sono i suoi compiti?

 

 

Essendo affiancato da persone specializzate, il ruolo del project manager vede un cambiamento delle sue mansioni.

Il project manager si trasforma da accentratore di informazioni e distributore di compiti in colui che protegge il lavoro delle persone del team. Inoltre, fa da catena di trasmissione tra team, clienti, fornitori e stakeholder aziendali, permettendo alle persone di fare squadra e di autoregolarsi.

Queste nuove dinamiche creano conversazioni tra il project manager, che non è più il solo decisore per il progetto, e il team. Quello che fa la differenza sono, quindi, un project manager e un team che si supportano a vicenda nelle varie fasi del progetto.

Dopo una formazione specifica, il project manager 2.0 avrà acquisito le competenze necessarie per gestire progetti in situazioni di complessità elevata. Avrà così aggiunto alle sue competenze la capacità di ragionare per prodotto e avrà migliorato alcune delle sue soft skill, tra le quali, quelle legate alla gestione del team e al concetto di delega. L’introduzione delle logiche conversazionali di team e l’attenzione alle risorse umane consentono il salto qualitativo ricercato.

 

Conclusione

La contrapposizione tra project management tradizionale e quello adattivo diventa sempre più sfumata, quasi un continuum, soprattutto quando si riescono a creare delle conversazioni tra il team e le altre figure coinvolte.

Quando il project manager è in grado di promuovere e gestire conversazioni, più che delegare e controllare, si creano le condizioni per avere team consapevoli e auto-organizzati, che supportano la sua figura nelle varie fasi di design, implementazione e avanzamento. 

Nella stessa azienda possono coesistere approccio adattivo e predittivo, ma l’introduzione dei metodi e strumenti sopra illustrati del management adattivo permette di rafforzare il funzionamento del team, avendo conversazioni più efficaci anche nei progetti con logiche predittive.

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