problem solving

Cenni storici

Il Problem Solving è una disciplina che mette insieme tecniche psicologico-cognitive e tecniche ingegneristiche, con lo scopo di trovare delle strategie per la risoluzione dei problemi quotidiani, non solo di ambito aziendale.

Esistono due importanti scuole di pensiero.

La scuola occidentale

La scuola occidentale coinvolge due grandi pensatori.

Claude Elwood Shannon
Durato un secolo ma ancora oggi misconosciuto, egli è l’inventore della trasmissione delle comunicazioni elettroniche (le sue reti hanno permesso, tra tutto, la trasmissione di internet); nonché di concetti come:

  • trattare le informazioni alla stregua di oggetti fisici
  • applicare l’entropia all’informazione.

Tutto nasce da una questione:

Come si possono generare idee geniali per risolvere problemi?

Shannon ha ideato un processo che si sviluppa in 3 fasi:

  1. Cuore del problema. La mente umana tende a distrarsi facilmente e, per questo motivo, il problema viene liberato dalle cose non essenziali.
    La regola delle “5 whys” prende ispirazione da questo pensiero.
  2. Abbandonare la logica e generare creativamente nuove idee. La logica è traditrice e potrebbe portare a generare cose che già conosciamo. Con la creatività non logica, invece, le idee si generano più facilmente.
    Così, sono nati tanti strumenti di “creative problem solving” con lo scopo di bypassare il senso critico; come il metodo Walt Disney.
  3. Puntare alla quantità più che alla qualità delle idee. Molte delle idee generate saranno poco utili e disfunzionali, ma necessarie prima di riuscire a trovare quella giusta e funzionale.
    E’ la logica che sta dietro le start-up, il design thinking, l’agilità: sbagliare il più velocemente possibile prima di trovare la soluzione migliore.

Edward De Bono
Con lui, le tecniche di Problem Solving diventano tecniche creative di gruppo.
Il modello dei 6 cappelli per pensare ideato da De Bono introduce per la prima volta i “punti di vista”. Tutto si basa su un presupposto: nella mente umana esistono dei bias cognitivi e uno molto prevalente è quello di cercare conferme della propria idea principale. Con i sei cappelli si va a creare una mente globale che, attraverso l’adozione di un metodo sistematico (poiché descrive un processo), permette di uscire dalle gabbie mentali e di originare nuove idee e spunti di azione.

Un altro punto di riferimento ancora vivo, all’interno della scuola occidentale, è Tony Buzan, inventore del mind-mapping. Si tratta di una tecnica di generazione di mappature del problema che permette di organizzare le informazioni in una gerarchia, mostrando le relazioni tra le diverse parti del tutto e che servono per seguire sempre il filo logico generato e di generarne altri sempre in gruppo.

La scuola russa

Si tratta di una scuola parallela che ha sviluppato il cosiddetto metodo Triz.
Tutto prende il via dallo studio di un progettista di brevetti. Nel corso di una loro ideazione, si accorse dell’esistenza di idee di base che permettevano di variare di poco il brevetto e di generare nuova innovazione.
Iniziò, dunque, a mappare queste strutture di base logiche originando una matrice con tutte le varianti strategiche: una serie di schemi logici che in una prima fase astraggono il problema.
Prendendo il problema e inserendolo in una delle categorie identificate, si possono innovare acriticamente le soluzioni a quel tipo di problema e creare, così, soluzioni creative di risoluzione da applicare al problema iniziale.

Si bypassa la mente logica, utilizzando soluzioni già trovate in passato.

 

Il Design Thinking

Tutto ciò che è stato appena descritto riporta al Design Thinking: la possibilità con un gruppo di persone di esplorare insieme un problema da risolvere utilizzando il “doppio (o triplo) diamante” del Design Thinking. Un modello che utilizza tutte le possibili strategie psicologiche, cognitive e ingegneristiche per divergere e convergere su delle soluzioni e che si sviluppa in tre fasi:

  1. Una fase divergente: il momento di creazione di domande e richieste per meglio capire la questione e, dunque, le possibili soluzioni
  2. Una fase convergente: il momento di sperimentazione di alternative che più convincono
  3. Una fase di selezione della soluzione più applicabile.

Caratteristiche del Design Thinking

Ma cosa contraddistingue il Design Thinking?

  • E’ un’operazione di gruppo, mitigata e governata da un professionista esterno. I limiti della propria mente si mitigano con la mente di un’altra persona, in maniera conversazionale attraverso lo scambio e la comprensione del punto di vista dell’altro.
  • E’ un metodo generativo e incrementale verso la soluzione, che contempla anche l’errore nelle prime sperimentazioni, che verrà poi corretto con un approccio generativo, dando vita ad un backlog di alternative possibili.

Spesso, nelle classi, vengono insegnati concetti di Design Thinking, utilizzando come acceleratori i principi del Problem Solving che sono logici e creativi e poiché in parte prendono spunto dalla recente ricerca di Daniel Kahneman (e dai suoi testi “Pensieri lenti e veloci” e “Rumore”).
La mente umana tende a commettere errori sistematici chiamati bias, o anche euristiche. Secondo Kahneman, si possono riconoscere delle situazioni nelle quali poter utilizzare determinati bias, intesi in condizioni normali come scorciatoie che portano ad una soluzione. Così come può capitare che portino in errore: la logica è che gli errori sono sistematici, fanno parte dell’umanità e sono quasi sempre gli stessi.

Qualche chiarimento…

Il Design thinking, dunque, ha preso in mano le strategie originarie di Problem Solving e ha sistematizzato un processo che permettesse di utilizzare tali tecniche. Si tratta della “disciplina tra le discipline di Problem Solving”: gruppi di persone lavorano in maniera convergente – divergente, creando “design di pensiero” per la risoluzione di problemi.

 

Dal Design Thinking al Problem Solving

Per comprendere perché le tecniche di Problem Solving funzionano, bisogna analizzare lo schema cognitivo e i limiti della mente umana, che sono di due tipi:

  • Percettivo: il problema arriva con dei filtri (di vista, di udito, interferenze esterne) controllabili e non, di natura umana e dunque imprescindibili.
  • Attentivo: la memoria a breve termine operativa non riesce a mantenere più di 9 informazioni contemporaneamente; è un limite onnipresente: ben riconoscibile, ad esempio, nel dimensionamento dei team, solitamente formati da 3 a 9 membri.
    Lo stesso vale nel Problem Solving: il momento di convergenza serve per contenere le varie soluzioni che potrebbero essere proposte.

Nella logica del Design Thinking, le strategie adottate riflettono il tipo di problema da risolvere. Anche con un riferimento al framework Cynefin, si possono identificare 2 macro categorie di problema:

  1. Problema complicato, che richiede strategie ingegneristiche e soluzioni ridondanti. Si cerca di avere un approccio metodologico ordinato per risolvere una difficoltà, poiché gli stessi problemi hanno una matrice ordinata seppur complicati.
    Ad esempio, nella Lean e nel TPS è stato ideato un “A3”, un foglio di sequenze di cose da fare per trovare la soluzione a quella determinata questione.
  2. Problema complesso, innovativo e che coinvolge continuamente nuove persone. E per la cui risoluzione subentra la necessità di avere strumenti più flessibili e di utilizzare un metodo sperimentale, adottando diverse soluzioni fino a quella definitiva.

Da qui, si generano due strade da poter percorrere per la risoluzione dei problemi.

  1. Discipline che si occupano prevalentemente della parte complicata del problema in termini di innovazione e interconnessione degli elementi.
    In questi casi, è necessaria una parte di analisi del problema, imprescindibile.
  2. Strategie mentali e psicologiche, che ineriscono la complessità delle relazioni e la diversità delle persone.
    Entra in gioco qui il Solution Focus, nei problemi complessi, volto a lenire la parte di complessità relazionale: dove non si conoscono le soluzioni, ma bisogna sperimentare. Il Solution Focus permette di applicare strategie che bypassano la necessità di concentrarsi sul problema, per orientarsi verso l’essenziale, l’alternativa risolutiva; nonché di bypassare i gap personali e individuali.

Ma vi è un’ulteriore strada da poter percorrere, data dalla possibilità di lavorare in trasparenza in un’interfaccia online. Si tratta di sessioni di divergenza o convergenza, dove vi è la possibilità di non negare il punto di vista di nessuno: non prevale un punto di vista di uno su tutti e nulla si perde, bensì tutto si ispeziona; se una soluzione non va bene, si torna indietro nel processo e potrà essere ripresa in altre occasioni.

La parte rivoluzionaria è che tali sessioni possono essere svolte contemporaneamente velocizzando enormemente la generazione di nuove idee e il raggiungimento di una convergenza e portando a: trasparenza, tracciabilità delle informazioni, lavorare in parallelo riducendo l’influenza delle idee totalizzanti.

L’utilizzo di un’interfaccia non è privo di rischi o bias, però è funzionale e permette di applicare i metodi creativi complessi in una logica che consente di tenerne traccia e renderli trasparenti.
Un esempio possono essere le “blueprints” o i “journeys”, utilizzati per valutare se il viaggio esperienziale che vogliamo condividere con l’utente è praticabile o meno: dove vengono esplorate progressivamente, in un approccio iterativo e incrementale, le possibili soluzioni a questa esperienza.

 

Conclusione

Relazione Agile – Problem Solving

Non c’è molta differenza tra il modo di procedere sperimentale dell’Agile e quello adottato nel Problem Solving. Si tratta di due fasi collegate tra di loro che possono travasare competenze e strumenti da una all’altra, proprio perché anche nel processo di produzione del prodotto ci sono logiche ricorsive nel design. E le tecniche di Problem Solving possono dare una mano.

Relazione Design Thinking – Problem Solving

Lo stesso Design Thinking utilizza la logica divergente/convergente prendendo spunto dalle strategie adottate nel Problem Solving. Attraverso il doppio/triplo diamante è stato sistematizzato un processo che permette di utilizzare diverse tecniche di convergenza/divergenza per affrontare problemi di natura diversa, soprattutto complessi.

Il Design Thinking è la disciplina delle discipline del Problem Solving.

 

L’offerta HRel

Il corso Problem Solving & Solution Focus offerto da Human Reloaded:

→ Aiuta a comprendere la vera natura del funzionamento del Problem Solving: permette di capire cosa funziona quando le cose funzionano.
Le strategie vengono applicate con consapevolezza anziché seguendo ciecamente dei consigli.
Ti aiuta a capire da solo in che tipo e a che livello di problema ti trovi, per farti accorgere prima se una strategia di Problem Solving non funziona come vorresti, così da poterlo cambiare anticipatamente.

→ E’ un corso trasversale, indirizzato e consigliato per tutta l’organizzazione.
E’ importante per gli operativi e i team di sviluppo, ma anche per chi deve dialogare con il team e tra persone, dunque per gli owner. Le conversazioni tra individui devono essere mediate da un metodo che attenui le idee prevalenti e che faciliti trasparenza e ascolto.
Molti strumenti acquistano valore se usati in gruppo, ma hanno molta utilità anche nelle sedute di consulenza individuale.

→ Il valore aggiunto che il corso offre è l’implementazione dei metodi conversazionali nella logica del Problem Solving.
La dinamica conversazionale permette di comprendere quando ci si trova davanti uno strumento strategico (es: matrice SWOT fatta di gruppo e incrociando tutti i punti in modo convergente/divergente). Ne consegue un agreement, un accordo tra i membri del team circa un’idea o una soluzione da voler proporre.

Scopri i corsi correlati

Problem solving e Solution Focus

Problem solving e Solution Focus

Il Problem Solving è l’attività complessa a maggior impatto nelle dinamiche organizzative. Un orientamento alla risoluzione dei momenti di crisi consente di riflettere strategicamente sulle dinamiche relazionali e motivazionali che caratterizzano l’azione organizzativa, generando soluzioni laterali in grado rispondere alla complessità crescente del mondo aziendale. Le tecniche per lo sviluppo della creatività e la condivisione delle soluzioni in team, completano il quadro delle competenze utili a chi gestisce gruppi di lavoro.

Scopri
Solution Focus Facilitator

Solution Focus Facilitator

Il SF Facilitator rappresenta una figura di facilitazione e di collegamento per trasferire e implementare in azienda un mindset capace di far emergere il valore di ciò che sta già funzionando.
Un workshop esperienziale in cui, attraverso semplici tools, sarà possibile sviluppare le attitudini dei catalizzatori interni per il cambiamento.

Scopri
Service blueprint – Service mapping

Service blueprint – Service mapping

Il service blueprint è uno strumento indispensabile nell’ambito del service design, che permette di mappare, a partire dal customer journey, tutte le fasi, le interazioni, le persone, i touchpoint e i processi che compongono un servizio.

Scopri
La gestione dei conflitti

La gestione dei conflitti

Un workshop per sviluppare un’attitudine comprendere le dinamiche dei conflitti e poter disporre di strumenti per risolvere problemi relazionali. Sperimentando in aula sarà possibile applicare da subito alcuni semplici tool e confrontarsi con approcci teorici lavorando in ottica sistemica includendo i principi della complessità.
Supponi di avere collaboratori che, invece di confliggere e bloccare il flusso comunicativo, possano confrontarsi in maniera costruttiva. Cosa ci sarebbe di diverso?

Scopri

Contattaci per costruire il tuo prossimo percorso di formazione